RGB. LA BASE: nota del curatore
La mia nuova mostra, nelle parole del curatore Matteo Galbiati.
Bisogna riconoscere a Luca Bonfanti il merito della determinazione, del coraggio, dell’insistenza, anche della sofferenza, del turbamento, delle scelte dolorose con cui negli anni non ha mai spento l’ardore spontaneo del suo sentimento pittorico. Da almeno un paio di decenni la Pittura è diventata il linguaggio prediletto a cui si è dedicato con tutte le sue energie – mentali e fisiche – confermandola come una vera e propria vocazione. Composta alternando periodi di fitta ispirazione e intensa produzione a momenti di pausa, in cui il vuoto è sempre un attimo fondamentale per ripensare al tema del colore, alle sue forze e alle sue suggestioni, Bonfanti ha dimostrato una totale fiducia nell’Arte, ascoltando le spinte emotive più profonde e traducendole in superfici che hanno saputo, nel tempo, scavare nella materia cromatica per farsi largo come sensibile ambiente differentemente spaziale. Concretamente fisico, quanto idealmente interiore.
Nel suo fare i diversi cicli pittorici lo hanno messo nella condizione di scandagliare le profondità della materia – un tempo accetta con una pratica scultorea attenta a volumi, piani e masse – e via via di smembrare e di rarefare i contorni di corpi geometrici fino a intercettare un’attenzione particolarissima per la lettura dei cromatismi in senso monocromo. Il pensiero dell’artista è stato teso ad una riflessione continuativa nel sentire l’impasto dei colori e delle sfumature e si è spinto a osservare l’essenzialità costituente del gesto e dell’atto pittorico ora capace di amalgamare densità inattese e inesplorate che, non solo conferiscono concretezza alla loro stessa essenza, ma anche possono veicolare una conformazione emozionale che coinvolge e attiva chi osserva.
Bonfanti, così, ha molto ripulito la sua azione e molto ha tolto dal peso della sua mano, un processo, questo, comune a molti artisti che non si limitano al dato pre-acquisito, non si contengono nell’ambito del già risolto, ma vogliono liberare la propria poesia in una ripetuta messa in discussione delle radici della loro estetica e della loro volontà lirica. Il principio del levare è importante nel definire un percorso fatto di scelte, di tappe, di sperimentazioni e di un quotidiano confronto con le necessità e le esigenze della Pittura stessa: Bonfanti ha voluto ascoltarla, assecondarla, ha imparato a seguirla disciplinando la propria mano nel puntualizzare la novità sino a renderla metodo. Ha lavorato con un impegno che oltrepassa le occasioni, che non si attiva esclusivamente per l’episodicità di eventi espositivi, ma cerca una dimensione di bottega, luogo – lo studio – dove esplodono le tensioni e si esternano i pensieri semplicemente facendo. Bonfanti è, in questo senso, un artista del fare, spinto sempre a guardare attraverso il suo stesso esercizio pittorico come mezzo per capire davvero le ragioni e il senso ultimi del valore del quadro. Copiosamente produttivo, anche se i gesti sono lenti e le azioni misurate, distilla il colore interpellandone le asperità e le leggerezze, le trasparenze e le consistenze, rimodulando ogni elemento squilibrato, livellando gli eccessi, misurando tonalità per aprire, sulle superfici mobili e vibranti, spazi di memoria e di visione, luoghi in cui intercettare suggestioni prima ancora che verità.
Il suo lavoro di artista, nel complesso, ha un suo focus preciso nel cercare di dare testimonianza all’invisibile, alle forze e alle energie imperscrutabili capaci di regolare l’universo e, per dare conto di un qualcosa di indefinito, ha voluto arginare la semplicità della rappresentazione limando la figura sino a dissolverla in un magma materico, dapprima intenso e carnalmente fisico, via via liberato nella leggerezza catturata di ogni presenza nascosta alla vista. Il flusso di sfumature – che danno un accento particolare alla sua monocromia, mai assoluta e totalizzante – compenetra e riadatta ogni volta, tela dopo tela, tavola dopo tavola, carta dopo carta, le volontà più segrete del colore di cui lui sa sollecitare ogni più celato fremito e ogni più recondito palpito.
Pur non tralasciando e mettendo mai in secondo piano la verità fisica e concreta della cosa dipinta, Bonfanti osserva e sperimenta le alchimie intrinseche alla sostanza che rimuove, stratifica, lima, stende, ripassa, scioglie e addensa. Il silenzioso manifestarsi di una sfumata e iridescente monocromia affiora, tra intenzione e fatalità, restando dirompentemente silenziosa: l’artista elude, in tal modo, la necessità obbligata di rappresentare, per accogliere la vocazione del suo “nuovo” colore a darsi nella sua natura medesima, senza riferimenti specifici, senza significazioni costrette. In una contaminata purezza null’altro giustifica se non il suo manifestarsi, il suo essere.
Allontanate ancor più le certezze scontate dei presupposti di senso, nella nuova serie de I Silenti vediamo come riesca ad amplificare questa sua attitudine a rinnovare l’esercizio fondamentale della significazione più pura e incontaminata del fattore pittorico: in questi lavori, tra cielo e abisso, tra redenzione e dannazione, fa evolvere ulteriormente la sua propensione a misurarsi con l’ignoto per ricavarne i principi di altre emozioni, intuizioni, apparizioni. La pacifica chiave di lettura di queste superfici leggere, eppure aperte sull’infinito, dominano una capacità di sentire le vibrazioni lontane del colore che, inespresse, qui provano a darsi una frequenza particolare. Bonfanti intensifica la proposta di una scrittura in cui il colore si apre, una volta ancora di più, a musicalità peculiari la cui risonanza è riposta nelle attese degli sguardi con cui trovano echi più profondi.
Il valore dell’ascolto assume un’importanza sinestetica rilevante per Bonfanti, perché è pronto ad amplificare la sfera emotiva della sua originaria vocazione per trasmetterla a chi ammira ciascuna sua opera. Siamo noi adesso a poter ricavare inedite coloriture di memorie, passaggi dimensionali sensibili, impensate contaminazioni emozionali. Il silenzioso avanzare del colore impatta nell’ambiente come un valico tra un qui e un altrove, confine di cui l’artista vuole essere indefesso esploratore, mosso dalla propensione di non farsi mai bastare gli orizzonti e i limiti raggiunti o dati per ovvi.
Il segreto di ogni gradazione va scandagliato e rimesso in prova in opere che ancora devono avvenire compiutamente, il loro sentire inizia con quella incondizionata fiducia nella Pittura, utile a districare la matassa intricata delle sue (e nostre) aspirazioni. La tensione di tutte le aspettative, i desideri, i sogni pare distorcere ogni volta la fisicità e la realtà di cui crediamo di avere tanto bisogno e qui lui interviene, invece, rivolgendosi a qualcosa di imperscrutabile e ci abitua a un diverso osservare che va oltre i limiti della ragione interpellando l’anima.
Non rivolgendosi alla terra, per questo, forse, lo sguardo di Bonfanti incontra il cielo e la sua imperturbabile profondità siderale: in un luogo in-finito lascia che il gorgo dei cromatismi delineati faccia il suo corso, apra prospettive che sappiano mettere alla prova il dovere di trovare quella profondità, di scavare nelle emozioni per ripensare con una consapevolezza nuova al nostro vivere e al nostro meditare. I Silenti comprovano la potenza e la forza del colore, senza che lui, da autore, sia radicale a ogni costo, senza che disconosca la sua storia pregressa. Luca Bonfanti si pone un traguardo ambizioso quando vuole interpretare, con personalità, le sensibilità differenti di ogni sfumatura: qui – piacevolmente per noi – si perde, in un flusso di suggerimenti realmente e compiutamente infiniti. Se il colore è atmosfera, adesso può davvero liberamente risuonare in un’interiorità ritrovata.